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Immagine del redattoreCristina Ferina

Ma chi è il responsabile?


Me lo chiedo anche io, quando le cose non vanno come vorrei, quando non fluiscono.


Chi è il responsabile di un ritardo, di un intoppo pratico, oppure di un'incomprensione, che ostacola un processo lavorativo, allontanando sempre di più il risultato. Che nervi, vero? E più ci innervosiamo, più ci blocchiamo.

Gli intoppi a cui mi riferiscono sono sottili, meno visibili, quindi difficilmente maneggiabili.


Beh, mi sento di dire con cognizione di causa, che questi ostacoli siamo proprio noi. Ma come? Intendiamoci, più che essere noi, siamo noi che li creiamo, in modo eccelso, grazie alla nostra innata arte della complicazione, propria di tutti. La complicazione, per come la intendo in questo post, nasce da uno stimolo biologico molto antico, che ha una funzione importante: quella di proteggerci.


E' una programmazione atavica intelligente perchè che ci ferma prima che venga commesso qualche danno irreparabile per cui non siamo in grado di trovare soluzione alcuna, o, se la troviamo, lo facciamo con difficoltà (un'altra che ci possiamo risparmiare).

Nelle nostre storie personali e/o familiari, probabilmente, nasce da qualche evento simile a quello che adesso stiamo ostacolando, già sperimentato in passato, che ci ha provocato, anche indirettamente, un danno.

Il nostro cervello ha registrato quell'esperienza come potenzialmente dannosa e quindi ora fa di tutti per tenerci lontani, non da quella che abbiamo già vissuto, ovviamente, ma da un'altra che, pur essendo diversa, ha il suo stesso sapore, passando dal tutelarci al prenderci in ostaggio.


In che modo possiamo contenere questa sua esuberanza protettiva?


Intanto, accorgendoci che questa cosa sta per accadere, cioè il programma protezione sta per essere attivato. Ma come? Esempio basico: se ogni volta che devo, ad esempio, discutere una questione lavorativa con una persona specifica, non arrivo in orario all'appuntamento, mi dimentico a casa dei documenti importanti, mi faccio venire un attacco di colite, e via dicendo... forse il mio cervello mi sta tenendo alla dovuta distanza perchè qualcosa, in passato, magari in una situazione analoga, è andato storto, creandomi un danno. Case study estendibile a qualsiasi nostra esperienza.


Una volta accorti, si posiziona, simbolicamente, l'evento nello spazio, ad una distanza giusta da dove siamo noi, e lo si osserva. Ci si allontana e ci sia avvicina per cogliere più dettagli possibili.


Chi, o che cos'è, quella situazione per noi? La conosciamo già oppure è la prima volta che la incontriamo? E poi, ascoltiamo il campo che ci ospita. Ci invita a compiere qualche azione? Forse dobbiamo concludere qualcosa che è stato interrotto tempo fa? (un gesto, un movimento, una frase...) Oppure, è sufficiente la nostra presenza? Lasciamo che sia il corpo a guidarci nell'esperienza.


Qualsiasi cosa ci inviti a fare, più o meno strana o bizzarra, come dico sempre, facciamola, perchè le rivoluzioni, molto spesso, nascono dai piccoli gesti simbolici.

Buona settimana

Cristina

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