La definizione prende il nome dalla psicologa lituana Bljuma Zeigarnik che, all'inizio del secolo scorso, in un ristorante di Vienna, aveva notato che i camerieri si ricordavano più facilmente delle ordinazioni lasciate a metà. Questa osservazione l'aveva spinta ad approfondire una ricerca su come le azioni non concluse si ricordino meglio di quelle portare a termine.
Accade un po' a tutti di iniziare qualcosa e, per mille motivi, tra cui la procastinazione, o la semplice pigrizia, non portarla a termine, e continuare ad avere sempre il campanellino pronto a ricordare che c'è quella cosa da finire. Questa situazione genera uno stato di tensione mentale che, in un primo momento può anche essere utile, ma che, se protratto, incrementa, insieme a stress e ansia, anche i conti sospesi, che diventano una bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro.
L'effetto Zeigarnik si trasforma in effetto Pentola a Pressione.
Questo a livello conscio.
Immaginiamo lo stesso effetto a livello inconscio. E' come un mare immenso che si muove nei sotterranei del nostro mondo, producendoci un costante e incomprensibile stato di disagio; ci sentiamo come se dovessimo annegare, senza possibilità di muoverci, bloccati in uno spazio simbolico apparentemente non nostro, in cui non abbiamo scelto di stare. In buona sostanza, non sappiamo che c'è qualcosa da portare a termine, ma gli effetti sono gli stessi di quando invece ne siamo consapevoli.
Ti è mai successo?
A questa domanda, io rispondo sì. Mi accade di essere travolta dalla sensazione di dover finire qualcosa che non so nemmeno di avere iniziato. E' un felt sense intenso e vago contemporaneamente, mi sta addosso come una sciarpa, a volte diventa anche un passamontagna, e mi schiaccia letteralmente la testa.
Da dove nasce e cosa può essere?
Per la seconda domanda, invece, trovo una soluzione transgenerazionale, cioè che questo senso di incompiuto non nasce direttamente da me, ma arriva da lontano e può essere, e qui rispondo alla terza domanda, un compito IMPORTANTE per il sistema familiare, che non è stato portato a termine da qualcuno dei miei ascendenti. Sono informazioni genetiche che sfruttano la conduttività mnestica dell'acqua e si radicano nella coscienza cellulare profonda: la mia, e mi fanno agire "come se" ci fosse ancora qualcosa da concludere.
Come si può riparare?
Alla terza domanda, rispondo che la sola consapevolezza di trovarsi in questo stato è già in parte una soluzione. Il resto può essere fatto attraverso la scrittura, il restare con le immagini che questa sensazione di incompiuto rimanda, provando a collocarle nello spazio, cercando di associare ad ogni immagine un membro della famiglia (il primo che viene in mente), e instaurare con lui ,o lei, un dialogo, chiedendo cosa può essere fatto per concludere l'opera. Attendere pazientemente una risposta, che conterrà l'invito ad andare in una certa direzione o a fare una cosa specifica (quasi certamente simbolica).
Trattandosi di processo di compimento interrotto, un altro modo per elaborare creativamente le conseguenze dell'effetto Zeigarnik transgenerazionale è leggere fiabe, perchè le fiabe sono la dimensione del portare a compimento per eccellenza. I contenuti simbolici che racchiudono (calderone dell'inconscio collettivo), risuonano con il nostro inconscio individuale, processando (e portando appunto a compimento) i sospesi e gli irrisolti in sicurezza.
Visto che non puoi leggerle tutte per trovare quella che risuona con il tuo "conto aperto", scegli la fiaba dal titolo. E poi leggila, rileggila e rileggila ancora (lege, lege et relege)... fino a quando non sentirai che la sensazione strana dell'effetto Zeigarnik non sarà cambiata e, forse, avrà pareggiato il conto, finalmente, chiudendolo.
Buona settimana
Cristina