Possiamo essere altro da quello che siamo quando veniamo al mondo?
Nasciamo con un bagaglio genetico, e non solo; oggi si parla tanto di epigenetica, che è in contenitore delle influenze sociali, storiche, culturali, abbastanza ben definito, che traccia una prima fase della nostra esistenza, ma che è la valigia di chi ci ha preceduti. Starà poi a noi scegliere di continuare a percorrerla, oppure abbandonarla, per iniziare a marcare i confini della nostra storia.
L'esigenza emerge spontaneamente, presentandosi a noi come qualcosa che sentiamo di dover ricercare, una sorta di Graal interiore, perfettamente adeso alla nostra parte più profonda; un principio, che non è solo quello di individuazione di cui parlava Jung. E' un principio che è più un inizio, e contiene anche lo sviluppo del nostro mito.
Di solito, non è facile riconoscerlo. La comprensione di chi si vuole diventare, non per volontà, ma per necessità, è un percorso tortuoso, una seconda nascita. E il canale del parto richiede che si facciano tutte le anse per arrivare alla fine e vedere finalmente la luce.
Cosa ci dice che è proprio quello? Avete presente un colpo di reni in una situazione di "emergenza"? Ecco, solo che in questo caso è interiore, e spinge forte perchè si segua un'altra direzione. Anzi, la direzione.
I segnali sono sempre abbastanza inequivocabili e, naturalmente, arrivano dal e con il corpo.
Ci ammaliano spesso? Abbiamo sempre la stanchezza pronta in tasca? Incontriamo di frequente persone che ci raccontano che hanno cambiato - lavoro, relazione, casa? Siamo circondati di coincidenze significative o sincronicità?
Sono tutti indizi che offrono uno stimolo alla riflessione e un invito a cambiare qualcosa nella nostra vita.
Personalmente, ho notato che quando incontro sul mio cammino tracce di questo tipo, e le accolgo, si aprono delle porticine su nuove opportunità. Di opportunità in opportunità, anche se non le colgo tutte come un'ossessione, sento di essere sempre più vicina... a quello che sono.
Sfrutto la mia intuizione, che ormai è estesa in tutto il mio corpo. Mi raccolgo con la situazione, la prendo sotto braccio, e ci faccio una chiacchierata simbolica, chiedendole cosa io possa fare per lei.
In genere, la sensazione che arriva in risposta, la prima, è che sono io che posso fare qualcosa per me. Lei si presenta solo perchè io la veda, ha una pura funzione catalizzatrice. Mi mette di fronte all'opportunità di scegliere. Come se io stessi camminando su una rete molto fitta; ogni incrocio, tra i fili orizzontali e verticali, è un piccolo cancello, una finestra, un varco, su una scelta. Se accetto di attraversare, posso spostarmi anche di molto lontano rispetto a dove mi trovo adesso, pur restando sempre nella rete. Sta a me.
- Prima di tutto, mi dico che se l'evento si è presentato, un motivo c'è, e ha un senso per me, in questo momento.
- Lo interrogo a fondo, come si fa con un oracolo, dal quale posso solo aspettarmi una risposta sibillina, rimanendo poi con la prima sensazione che emerge nel mio corpo.
- Lascio che la sensazione mi parli, e lo fa attraverso i simboli.
- La prima associazione che mi arriva dal simbolo è la chiave per accettare o meno l'offerta di varcare il confine.
- Come lo so? Lo so. Non ci sono "sbavature", non c'è lo spazio per il dubbio. Non ci sono emozioni. E' un campo neutro, compatto come una sfera.
Diventare ciò che si è è un processo di unificazione che, attraverso l'interrogazione diretta dell'evento, permette di abbandonare quello che non serve, viaggiare leggeri, liberi di seguire propria strada, sulla quale si incontreranno altre occasioni di confronto ed elaborazione. Il corpo si modella sulla base dell'esperienza, ma è vero anche il contrario. L'esperienza è tale grazie al corpo.
Buon percorso, a presto
Cristina